BENE RENZI. INACCETTABILI COMPORTAMENTI DIVERSI IN EUROPA -IL MIO INTERVENTO ALLA CAMERA
Quando parliamo d’Europa da un po’ di anni a questa parte ci limitiamo al piccolo cabotaggio, al mercanteggiamento, tiriamo sul prezzo, cerchiamo di racimolare un qualche vantaggio, ma sembriamo in realtà rassegnati al fatto che con Bruxelles e con la sua burocrazia, stiamo da tempo parlando due lingue diverse.
Io non tratterò nei particolari l’ordine del giorno del Consiglio europeo del prossimo 20 e 21 ottobre, lo farà con più perizia di me il collega Buttiglione, ma vorrei affrontare quelle questioni pur fondamentali – la politica economica, commerciale e migratoria dell’Unione europea – nell’ottica della condizione che può rendere fruttuoso il confronto con gli altri paesi dell’Unione, di cui val la pena ricordare che siamo uno dei fondatori, e non di immiserirlo nel mercanteggiamento di cui parlavo.
Io penso che l’Unione europea sia veramente sull’orlo della sua possibile dissoluzione, ma non a causa dei rinascenti nazionalismi, delle pulsioni populiste, degli egoismi mascherati da politica, della grettezza xenofoba che riaffiora da un passato che credevamo morto e sepolto. Certo, tutte queste cose ci sono, e ci saranno sempre come tentazione latente in ogni uomo, a meno che coltiviamo ancora l’utopia – già dimostrata falsa dalla storia del secolo scorso – di costruire sistemi talmente perfetti da rendere inutile all’uomo di essere buono.
L’Europa è sull’orlo della dissoluzione non a causa dei suoi nemici interni ed esterni, ma a causa di sé stessa, per un problema di identità: non sa più chi è né quale sia il suo compito nel mondo. Ha interrotto anni fa il disegno, il grande disegno che pensava a un continente capace di respirare con due polmoni, oriente e occidente, dall’Atlantico agli Urali, e che aveva come importante passo quello della Costituzione europea. Ci siamo messi a litigare sul riconoscimento delle nostre radici comuni per un malinteso concetto di laicità. Altri, più pratici, sono i problemi, si argomentava, e il risultato è che abbiamo rinunciato ad avere una Costituzione europea.
Mi sembra un po’ come quando andiamo oggi ai dibattiti televisivi sulla riforma costituzionale e ci sentiamo ripetere: voi politici state perdendo tempo sulla Costituzione mentre sono altri i problemi e le priorità della gente… e partono i servizi sulle pensioni, sui disoccupati… come se la Carta fondamentale di un Paese non c’entrasse nulla con le leggi che devono affrontare e risolvere proprio quei problemi. A parte l’insulto per i Padri costituenti, trattati come dei perditempo, il cui lavoro però ci avrebbe dato la Costituzione più bella del mondo…
Ma torniamo all’Europa. Io penso che in questo momento siamo di fronte a una scelta di fondo, esattamente come quando l’Europa moderna nacque dalle ceneri della seconda guerra mondiale. La crisi che attraversiamo non ha quella violenza mortale e distruttiva, ma è ormai più lunga di quella guerra. E la scelta di fondo che deve determinare il nostro atteggiamento in Europa, signor presidente del Consiglio, lo dico a lei che in Europa non rappresenta solo la maggioranza che ci sostiene, ma rappresenta tutto il Paese, e di questo spesso ci dimentichiamo usando l’Europa per attaccare il nostro avversario interno non rendendoci conto che in questo modo contrastiamo quel bene comune che pure diciamo di voler servire. Ho sempre trovato meschino e provinciale l’uso della stampa straniera per dileggiare il nostro governo, mi fanno oggi pena coloro dopo aver denunciato i complotti del capitalismo finanziario internazionale del cui interesse lei sarebbe longa manus in Italia, nascondersi oggi, per evidente mancanza di argomenti, dietro i titoli del supposto strumento editoriale di questo stesso capitalismo finanziario.
La scelta di fondo in Europa, dicevo, è la stessa che deve fare ogni Paese: quella tra l’unità e la libertà. Nel suo ultimo libro un grande europeo, Joseph Ratzinger, ricordando Adenauer, ne parla così, e sembra di essere oggi:
“La Germania si stava organizzando, stava tentando di darsi una nuova forma. Si trattava veramente ancora di stabilire cosa avrebbe dovuto diventare. L’alternativa era tra il primato della libertà e quello dell’unità. Il gruppo parlamentare di Schumacher era per il primato dell’unità: la Germania non avrebbe dovuto legarsi all’Occidente, ma restare aperta e senza vincoli per arrivare alla riunificazione. Adenauer sosteneva il principio del primato della libertà. Secondo lui invece, la libertà era il presupposto dell’unità. Questo significa che ci dovevamo legare all’Occidente perché solo così sarebbe stata possibile la rinascita”.
La storia ha dimostrato chi aveva ragione.
Ora noi siamo davanti alla scelta se stare insieme per una logica di mercato, di fedeltà a una burocrazia autoreferenziale, di ossequio formale a un umanitarismo superficiale, oppure per il respiro di libertà che contraddistingue l’Europa come una famiglia di nazioni, di popoli, di cultura e di Stati. Se stiamo insieme per rispettare alcune regole che pur ci siamo dati e che incerti momenti erano doverose ma che non rispondono più alle esigenze di una situazione cambiata o se stiamo insieme per un comune destino.
Da questo dipende se vogliamo perseguire lo scopo del trattato di libero commercio fra le due sponde dell’Atlantico come uno scontro fra due egoismi o come la costruzione della più grande area di libero scambio che sia il perno di una politica di pace (l’Europa iniziò così).
Da questo dipende se l’immigrazione viene lasciata alla gestione emergenziale dei paesi che la devono affrontare in prima linea o diventa l’occasione di un rilancio della cooperazione internazionale che coniuga gli accordi economici con i paesi di partenza del flusso immigratorio con l’esigenza della sicurezza e con accordi per la riammissione degli immigrati illegali. Ma, ripeto, non cerchiamo alibi, i populismi, la facile demagogia, le chiusure irrazionalistiche nel nazionalismo vengono sconfitte solo dalla buona politica.