Il mio Sì per cambiare un Paese bloccato – Il mio intervento a ilsussidiario.net
Io voto Sì perché in questo referendum c’è in gioco una questione molto importante: la capacità dell’Italia di riformarsi e quindi la nostra credibilità come Paese.
Da trent’anni tutte le forze politiche auspicano una riforma delle istituzioni e la inseriscono nei loro programmi. Dopo infiniti tentativi e insuccessi ne abbiamo una alla quale si è lavorato per due anni, che è stata scritta al 90 per cento con un partito dell’opposizione (Forza Italia), avendo come base di lavoro tre punti su cui tutti concordavano: fine del bicameralismo perfetto, della legislazione concorrente e ridimensionamento del Parlamento. Una riforma che è stata votata sei volte dal Parlamento, per due volte anche da Forza Italia, e la vogliamo buttare via con argomenti pretestuosi come quello risibile del pericolo di una deriva autoritaria?
Tutti, anche chi lo paventa, sa che è un pericolo che non esiste, perché la riforma non muta i poteri del presidente del Consiglio, perché restano tutti i contrappesi all’esecutivo pensati dai costituenti: il presidente della Repubblica, la Corte costituzionale e soprattutto una magistratura indipendente.
A meno che si pensi che il vero contrappeso sia un sistema bloccato come quello attuale, con due Camere che possono avere maggioranze diverse e che quindi condannano il Paese (cioè le persone, le famiglie e le imprese) all’immobilismo, all’impossibilità di riforme, costringendo chi governa a ricorrere in modo spropositato ai decreti legge e all’arma della fiducia, esautorando così davvero il Parlamento del suo ruolo.
Io non prevedo nessun disastro in caso di vittoria del No, se non quello di tenerci il disastroso non-funzionamento delle istituzioni in cui già siamo: una situazione in cui una legge ci mette quasi due anni per essere approvata, un sistema in cui il nuovo codice della strada che licenziai da ministro delle Infrastrutture nel 2013 deve ancora essere votato dal Senato dopo quasi 1.300 giorni. Un sistema che tollera che la legge per il contrasto alla povertà sia ancora sotto esame dopo 618 giorni, e quella per il contrasto alla criminalità organizzata dopo 698. Un sistema in cui un malinteso regionalismo, concepito solo come devoluzione di poteri in senso verticale e non come sussidiarietà reale, cioè come aiuto reciproco tra i diversi livelli di responsabilità, ha generato 21 leggi diverse per la Protezione civile, e in un Paese sismico come l’Italia è evidente a tutti che sia un controsenso generatore solo di confusione e di inefficienza.
Vogliamo ammodernare tutto questo? Vogliamo che l’esigenza di cambiamento avvertita da tutti trovi una risposta concreta oggi e non la promessa di una risposta migliore domani?
La situazione europea e internazionale è cambiata: la competitività è affidata non più alle svalutazioni competitive (non c’è più la possibilità di svalutare la lira per esportare e far così lavorare le nostre imprese, né di creare nuovo debito pubblico), ma alla stabilità dei governi, alla rapidità e alla qualità delle decisioni. La riforma della Costituzione risponde a questa esigenza. È questione di realismo, l’Italia ha bisogno di riforme per stare al passo con un mondo sempre più aperto e interconnesso, e con una società in rapida evoluzione.
Di Maurizio Lupi
Fonte: ilsussidiario.net