Maurizio Lupi

 Eugenio Corti: un maestro per i nostri giorni
Febbraio 14, 2017

Eugenio Corti: un maestro per i nostri giorni

Alla Camera si è svolto un interessantissimo convegno su Eugenio Corti. Io sono stato invitato in qualità di presidente della Fondazione Costruiamo il Futuro, che a Corti ha dedicato una mostra, un convegno e che con Corti si è incontrata più volte.
Il convegno si intitolava “L’eredità lasciataci dai padri – Eugenio Corti: un maestro per i nostri giorni”.
Di quello che ho imparato da Eugenio Corti, dai suoi libri e dagli incontri con lui ho voluto ricordare due cose: il suo amore per la verità e per l’uomo, l’idea che la fede ha necessariamente una dimensione sociale.
Corti mi ha insegnato a riconoscere la dignità dell’uomo nonostante tutte le sue contraddizioni. In “I più non ritornano”, diario dei ventotto giorni della ritirata di Russia racconta episodi di brutalità, di vigliaccheria e di debolezza, ma – come gli scrive Benedetto Croce dopo averlo letto: “è stata una lettura angosciosa e straziante, alla quale tuttavia non è mancata la consolazione del non infrequente lampeggiare della bontà e della nobiltà umana”.
È la stessa testimonianza di don Gnocchi, che Corti conobbe in Russia e che poi celebrò il suo matrimonio con Vanda, che di quei giorni in Russia scrisse: “In quei giorni fatali posso dire di aver visto finalmente l’uomo. L’uomo nudo. (…) Eppure, in tanta desertica nudità umana, ho raccolto qualche raro fiore di bontà, di gentilezza e d’amore – soprattutto dagli umili – ed è il loro ricordo dolce e miracoloso che ha il potere di rendere meno ribelle e paurosa la memoria di quella vicenda disumana”.
E questa bellezza, questa bontà pur dentro tanta miseria hanno una dimensione comunitaria e sociale che Corti vede nella sua Brianza e nella civiltà alpina. Nei valori intrinsecamente cristiani, nella laboriosità, nella solidarietà operosa che le contraddistinguono.
Per Corti questo non era una idea ma un’esperienza diretta di che cosa vuol dire il bene comune per il popolo. Ecco, la domanda che ci lascia in eredità allora è proprio quella sulla politica come servizio del bene comune. Sappiamo oggi ritrovare ciò che ci unisce più che ciò che ci divide?
 
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