Maurizio Lupi

 MOZIONE in Commissione – Hong Kong
Dicembre 3, 2019

MOZIONE in Commissione – Hong Kong

La III Commissione,

premesso che:

dal 1997 Hong Kong è una “regione amministrativa speciale” cinese, fa parte della Cina ma possiede un sistema amministrativo diverso (una Cina due sistemi) che prevede una forte autonomia sul piano politico, economico e soprattutto giudiziario, almeno fino al 2047;

le autorità della Regione Amministrativa Speciale di Hong Kong nel 2019 hanno proposto degli emendamenti alla normativa in materia di estradizione a seguito del caso giudiziario di un residente di Hong Kong, Chen Tongjia, accusato di aver ucciso la sua fidanzata incinta a Taiwan prima di tornare a Hong Kong. Giacché la magistratura hongkonghese non poteva esercitare alcuna giurisdizione sul caso, le autorità della Regione Amministrativa Speciale hanno avanzato una proposta intesa a regolare l’estradizione da e verso la terraferma cinese, Macao e Taiwan;

il 31 marzo 2019 migliaia di persone scendevano per le strade per protestare contro la proposta di legge sull’estradizione e il 3 aprile l’esecutivo guidato da Carrie Lam introduceva alcuni emendamenti. Ciononostante, alla fine di aprile, decine di migliaia di manifestanti raggiungevano l’edificio del Consiglio legislativo di Hong Kong, per rifiutare qualunque modifica alla normativa sull’estradizione suscettibile di accrescere il ruolo della Cina nelle vicende giudiziarie della Regione Amministrativa Speciale. L’11 maggio 2019 si verificava dissenso in seno allo stesso Consiglio legislativo tra i deputati favorevoli e quelli contrari alle modifiche in materia di estradizione;

dieci giorni dopo Carrie Lam ribadiva la sua determinazione a fare approvare le modifiche, ma il 30 maggio 2019 la portata delle modifiche veniva parzialmente attenuata, non convincendo peraltro gli oppositori, le cui posizioni trovavano una clamorosa manifestazione nell’iniziativa di più di tremila avvocati di Hong Kong, che il 6 giugno sfilavano per le strade vestiti di nero. Ben più corposa la dimostrazione del 9 giugno, cui partecipavano oltre mezzo milione di persone;

la lettera di un giovane di Hong Kong rivolta a Papa Francesco denunciava le violenze della polizia sui manifestanti: «Il 9 giugno scorso, un milione di loro sono scesi in strada per chiedere il ritiro della legge. Eppure, questa voce così forte è stata trascurata dal governo di Hong Kong. Il 12 giugno 2019, la polizia ha perfino usato una forza eccessiva e non necessaria contro dimostranti indifesi colpendoli con proiettili di gomma e gas lacrimogeni»;

nei giorni successivi la protesta assumeva contorni di massa, mentre da parte di gruppi di attivisti venivano compiuti atti di violenza che coinvolgevano la polizia, la quale rispondeva sparando proiettili di gomma e gas lacrimogeni, procedendo anche alla chiusura temporanea degli uffici di governo. Il 15 giugno il Capo dell’esecutivo Carrie Lam rinviava sine die la proposta di legge per le modifiche alla normativa sull’estradizione;

il 16 giugno almeno 2,3 milioni di persone di tutte le età e di tutti gli strati sociali hanno preso parte alla manifestazione contro la legge sull’estradizione in Cina. La gigantesca partecipazione è considerata «la più grande dimostrazione di tutti i tempi»;

ulteriori proteste avvenivano il 1° luglio, 22° anniversario del ritorno di Hong Kong alla Cina, e si giungeva ad assaltare la sede del Consiglio legislativo. Il 9 luglio Carrie Lam sembrava dichiararsi sconfitta, appurando l’impossibilità di portare avanti le modifiche alla normativa sull’estradizione;

il 18 luglio il Parlamento europeo votava una risoluzione che invitava il Governo di Hong Kong a ritirare il progetto di modifica del regime dell’estradizione e sosteneva l’importanza «che l’UE continui a sollevare la questione delle violazioni dei diritti umani in Cina in occasione di ogni dialogo politico e sui diritti umani con le autorità cinesi, in linea con l’impegno dell’UE di esprimersi con una voce unica, forte e chiara nel dialogo con il Paese; rammenta altresì che, nel contesto del suo attuale processo di riforma e del suo crescente impegno globale, la Cina ha aderito al quadro internazionale sui diritti umani firmando una vasta serie di trattati internazionali in materia; invita pertanto l’UE a portare avanti il dialogo con la Cina per assicurare che onori tali impegni»;

il 21 luglio 2019 migliaia di attivisti circondavano l’ufficio di rappresentanza della Cina a Hong Kong, con ripetuti episodi di violenza in cui era coinvolta la polizia: poche ore dopo la stazione rurale di Yuen Long era assaltata da uomini in maglietta bianca – presumibilmente a favore della Cina – alcuni dei quali muniti di pali con cui assalivano passeggeri e passanti, compresi alcuni giornalisti;

alla fine di luglio, 44 attivisti sono stati accusati di sedizione e pochi giorni dopo il regolatore dell’aviazione cinese richiedeva che la compagnia di bandiera di Hong Kong, Cathay Pacific, procedesse alla sospensione del personale che aveva preso parte alle proteste; la compagnia aerea prontamente si adeguava, sospendendo un solo pilota;

il 14 agosto la polizia e i manifestanti si scontravano all’aeroporto internazionale di Hong Kong dopo che i voli erano stati interrotti per il secondo giorno a causa delle proteste non violente;

il 31 agosto alcuni manifestanti e passeggeri di Hong Kong sono stati picchiati dalla polizia. L’episodio è avvenuto all’interno della metropolitana vicino alla stazione di Prince Edward. Le telecamere di sicurezza hanno ripreso le scene delle violenze, che hanno fatto il giro del mondo, in cui agenti avrebbero colpito le persone con spray al peperoncino e manganelli. Alcuni testimoni hanno confermato la ricostruzione sconcertati e la polizia, infine, ha riferito di aver arrestato 40 persone;

il 4 settembre Carrie Lam annunciava il ritiro, in via definitiva, delle proposte di modifica alla normativa di Hong Kong in materia di estradizione, dopo un incontro con i deputati favorevoli a Pechino e con alti rappresentanti cinesi. Il Capo dell’esecutivo accompagnava l’annuncio con ulteriori tre punti, a suo dire utili a un dialogo con il movimento di contestazione, ovvero il pieno sostegno all’Indipendent Police Complaints Council (IPCC), l’organismo che ha il compito di fare luce sui reclami contro l’operato della polizia dell’ex colonia; la disponibilità sua e del suo gabinetto ad avviare incontri con le comunità locali e infine un rapporto indipendente sulle cause delle principali questioni sociali che affliggono la città;

da parte degli attivisti pro democrazia la mossa di Carrie Lam era giudicata tardiva e insufficiente, nonché elusiva di altre richieste del movimento di contestazione, quali le dimissioni della stessa Lam, il suffragio universale per eleggere il Capo dell’esecutivo e il Consiglio legislativo, un’indagine indipendente e democratica sulla condotta della polizia e la cancellazione delle accuse agli arrestati durante le proteste, saliti a più di 1.200 persone;

il 7 settembre si registrava un’altra giornata di grande tensione, quando i manifestanti tentavano il blocco dell’aeroporto, scongiurato dal pronto schieramento della polizia: diverse centinaia di manifestanti, fallito l’assedio, si ritrovavano allora a Mong Kok, il distretto di Kowloon ad alta densità residenziale, dove circondavano la stazione locale di polizia e costruivano barricate sulla strada principale. Gli agenti usavano i lacrimogeni per disperdere la folla;

il giorno successivo, 8 settembre, una grande marcia pacifica si dirigeva al consolato americano, invocando l’aiuto di Donald Trump alla causa della libertà di Hong Kong. In particolare i manifestanti chiedevano al Congresso USA di approvare l’Hong Kong Human Rights and Democracy Act a seguito del quale potrebbero essere punite con sanzioni le azioni illegali dei funzionari dell’ex colonia contro manifestanti in difesa dei diritti umani;

intanto l’attivista prodemocrazia Joshua Wong, già leader del «Movimento degli ombrelli» del 2014, era di nuovo arrestato all’aeroporto di Hong Kong, di rientro da un viaggio a Taiwan, con l’accusa di non aver rispettato le regole sulla libertà su cauzione. Il 9 settembre, tuttavia, Joshua Wong era rilasciato, avendo il tribunale competente riconosciuto che gli addebiti contestati erano legati alla documentazione inaccurata: l’attivista poteva così prontamente riprendere la propria azione di sensibilizzazione internazionale sulla situazione di Hong Kong, partendo per la Germania;

proprio l’accoglimento di Joshua Wong a Berlino provocava forti preoccupazioni per la Cina, con la convocazione da parte del Governo cinese dell’ambasciatore tedesco a Pechino. Joshua Wong incontrava il Ministro degli esteri tedesco Heiko Maas e in sede di conferenza stampa lanciava un ardito paragone tra la situazione presente di Hong Kong e quella di Berlino durante la Guerra fredda;

il 15 settembre si svolgeva un sit-in dei manifestanti di Hong Kong davanti al consolato del Regno Unito: i manifestanti contestavano la soluzione «un paese, due sistemi», e chiedevano l’aiuto britannico, in particolare, per modificare il passaporto British National Overseas (BNO) rilasciato ai residenti dell’ex colonia, che dà accesso ma non residenza in Gran Bretagna. La settimana precedente, circa 130 parlamentari della Camera dei comuni avevano firmato una lettera al Ministro degli Esteri Dominic Raab, sollecitando gli Stati del Commonwealth a concedere la doppia cittadinanza ai residenti di Hong Kong;

con il proseguire degli scontri, il 2 ottobre 2019 l’Unione europea attribuisce grande importanza all’elevato grado di autonomia di Hong Kong, che deve essere preservato in linea con la Legge fondamentale e con gli impegni internazionali. Il continuo rispetto dei diritti e delle libertà fondamentali e l’indipendenza della magistratura restano essenziali per lo sviluppo di Hong Kong;

dall’inizio delle proteste il numero di suicidi denunciati è aumentato vertiginosamente. Il bilancio, aggiornato a fine ottobre, parla di oltre 100 casi, molte vittime sono giovani manifestanti. Esperti di sanità pubblica affermano che i manifestanti sono esposti e impreparati ad affrontare l’esposizione alla violenza che coinvolge Hong Kong dall’inizio delle manifestazioni;

Joshua Wong era atteso in Italia a fine novembre per un incontro pubblico presso la Fondazione Feltrinelli e per incontrare parlamentari di vari partiti, cosa che ha già fatto in Germania – incontrando privatamente il Ministro degli esteri con alcuni politici – e negli Stati Uniti – incontrando membri del Congresso e un tribunale ha respinto l’8 novembre 2019 la richiesta del signor Wong di lasciare Hong Kong per l’Europa. Il 19 novembre la decisione viene confermata dalla Corte suprema;

l’11 novembre un poliziotto spara a un manifestante disarmato. Questo atto segna un cambio di passo nell’uso della forza da parte delle autorità di Hong Kong;

il 19 novembre il Congresso americano ha approvato lo Human Rights and Democracy Act, una legge che permette al Governo americano di imporre sanzioni contro funzionari cinesi e di Hong Kong responsabili di abusi dei diritti umani e dispone che il Dipartimento di Stato riconsideri ogni anno se lo status delle relazioni tra Hong Kong e Cina giustifichi il mantenimento degli speciali rapporti commerciali e finanziari tra Hong Kong e gli Stati Uniti. Il Congresso ha anche sospeso la fornitura a Hong Kong di dispositivi per il controllo della folla. Il presidente Trump ha firmato entrambe le leggi, provocando la convocazione dell’ambasciatore americano da parte delle autorità di Pechino e forti tensioni tra Pechino e Washington, accusata di interferire negli affari interni della Cina;

recentemente circa 50 soldati dell’Esercito popolare di liberazione cinese (PLA) hanno ripulito alcune strade di Hong Kong in maniera volontaria; i soldati hanno dichiarato, facendo riferimento alle parole del Presidente cinese, che «fermare la violenza e far finire il caos è una nostra responsabilità». Questo ha suscitato timore fra i cittadini di Hong Kong che si domandano come un esercito così disciplinato come il PLA, faccia delle cose «per volontariato», senza ordini dall’alto. Secondo l’accordo bilaterale Cina-Gran Bretagna, la Cina non può dispiegare l’esercito sul territorio di Hong Kong senza previa autorizzazione delle autorità di Hong Kong. Non è chiaro se in questo caso ci sia stata l’autorizzazione;

il 18 novembre si è macchiato di scontri durissimi a Hong Kong tra manifestanti arroccati nel Politecnico e la polizia, registrando un totale di 38 feriti, di cui 5 in condizioni gravi, secondo il bilancio stilato dalla Hospital Authority. La polizia di Hong Kong ha lanciato l’appello alla resa agli studenti arroccati nel Politecnico, invitati a deporre le armi e ad uscire in modo ordinato. Tutti, ha assicurato un portavoce in una conferenza stampa in streaming, saranno arrestati perché «sospettati di rivolta» in vista degli accertamenti del caso;

dall’inizio delle proteste di giugno, la polizia ha arrestato 4.401 persone, di cui 3.395 uomini e 1.096 donne, in età compresa tra gli 11 e gli 83 anni;

l’Alta Corte di Hong Kong ha dichiarato incostituzionale il divieto di usare le maschere durante le proteste, introdotto dalla governatrice Carrie Lam, a cui Hong Kong aveva fatto ricorso l’ultima volta nel 1967; il divieto è stato da subito molto contestato dato che i manifestanti che si coprono il volto non lo fanno solamente per non essere riconosciuti dal Governo centrale cinese, ma anche per proteggersi dai gas lacrimogeni, dai proiettili di plastica e dai getti dei cannoni ad acqua sparati dalla polizia;

in un comunicato, l’ufficio di collegamento del Governo cinese a Hong Kong ribadisce il sostegno al governo locale per «adottare ogni necessaria misura per fermare i disordini e ripristinare l’ordine il prima possibile, arrestare i criminali e punire severamente i loro atti violenti»;

dal punto di vista finanziario, la questione riguarda gli effetti a lungo termine delle proteste sull’economia cittadina. Le riserve di Hong Kong hanno perso quasi 500 miliardi di dollari di valuta solo da giugno 2019. Il 71,5 per cento degli investimenti esteri diretti assorbiti dalla Cina nel 2018 è arrivato proprio attraverso Hong Kong; le aziende della Cina continentale hanno guadagnato il 67,5 per cento della loro mercatizzazione con la Borsa di Hong Kong;

la maggior parte dei manifestanti sono giovani sotto i 29 anni, che temono per il loro futuro di libertà, ma anche di lavoro e di abitazione, data la facilità con cui essi vengono sostituiti da personale cinese (che si accontenta di salari più bassi) e la difficoltà a trovare una casa a prezzi abbordabili (la maggior parte dell’edilizia – gestita dal Governo – è per case di lusso, che sono acquistate dai cinesi ricchi del mainland);

nelle elezioni dei distretti tenute il 23 novembre, il fronte di opposizione democratica ha conquistato 278 seggi contro i 42 dei filo-cinesi e una ventina per gli indipendenti, sostanzialmente ribaltando il risultato del 2015, nel quale l’establishment governativo era invece arrivato a 298 seggi, l’opposizione a 126;

il 29 novembre l’Ambasciata cinese a Roma ha rilasciato delle dichiarazioni inaccettabili sull’attività di alcuni parlamentari italiani che hanno organizzato una iniziativa in collegamento online con l’attivista Joshua Wong. I presidenti della Camera e del Senato, così come i Ministro degli Affari esteri e della cooperazione internazionale sono intervenuti per censurare le dichiarazioni dell’Ambasciata della Cina in Italia e per riaffermare l’indipendenza del Parlamento italiano,

impegna il Governo:

1) ad assumere le iniziative necessarie per conformarsi alla risoluzione del Parlamento europeo del 18 luglio 2019;
2) sulla scorta di quanto richiamato dall’Alto Rappresentante Mogherini il 18 novembre scorso, a sostenere una iniziativa della UE per chiedere l’avvio da parte delle Autorità di Hong Kong di una immediata indagine conoscitiva per verificare le ragioni alla base delle proteste e le violazioni del diritto nell’impiego dell’uso della forza;
3) a sostenere una iniziativa della UE presso le competenti Autorità di Hong Kong per verificare le ragioni del diniego all’espatrio di Joshua Wong, chiedendo parimenti spiegazioni all’Ambasciata cinese in Italia;
4) a sostenere una iniziativa della UE per un celere e imparziale esame, da parte delle competenti Autorità di Hong Kong e sulla base della legislazione locale vigente, delle richieste di rilascio dei manifestanti arrestati durante le proteste;
5) a ribadire alle Autorità cinesi che la tutela delle libertà di espressione e i diritti personali, nel pieno rispetto delle autonomie dei singoli paesi, sono un principio essenziale per la conduzione della nostra politica estera.

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