Maurizio Lupi

 Il Foglio: Investire nei trasporti. Troppa burocrazia frena lo sviluppo infrastrutturale
Febbraio 8, 2020

Il Foglio: Investire nei trasporti. Troppa burocrazia frena lo sviluppo infrastrutturale

Investire nei trasporti

Troppa burocrazia frena lo sviluppo infrastrutturale.
Trenitalia nel capitale di Alitalia?Scelta sbagliata.

 

Uno scambio lasciato aperto per errore. Questa la causa ipotizzata del deragliamento del Frecciarossa che è costato la vita ai due macchinisti. Occorre fare il possibile per abbassare sempre di più l’incidenza degli errori umani su sistemi complessi come le infrastrutture ferroviarie, ma sapendo che alla fallibilità dell’uomo si può ovviare, non la si può eliminare totalmente. Quello che possiamo fare è migliorare le infrastrutture perseguendo contemporaneamente due obiettivi: la realizzazione del diritto alla mobilità e il benessere economico e sociale che ne consegue e la sicurezza nella quale questo diritto viene esercitato. L’alta velocità ferroviaria in Italia è nata ed è stata realizzata con queste finalità ben presenti. Ricordo le polemiche per i costi, soprattutto nella tratta Bologna-Milano, ma si deve alla lungimiranza dei progettisti, che la realizzarono con criteri anti-sismici, se durante il terremoto che colpì l’Emilia Romagna nel 2012 non un treno ad alta velocità uscì dai binari.

Di fronte a quello che è successo l’altroieri non ci si può certo consolare dicendo che è il primo incidente che riguarda la Tav ma, oltre al doveroso accertamento delle responsabilità, quel tragico incidente ci obbliga a riprendere in mano l’altrettanto doveroso progetto di una infrastrutturazione moderna del paese.

La Tav è stata un successo come dimostrano il numero dei passeggeri che quotidianamente la usano (170.000  persone), ma anche la crescita dell’economia delle città che dalla Tav sono servite (+10% del Pil in dieci anni) e finalmente la possibilità di introdurre una vera concorrenza pubblico/privato nell’offerta di trasporto ferroviario a vantaggio dell’utente.

Ma la Tav è un disegno incompiuto. Sulla dorsale tirrenica raggiunge Salerno e lì si ferma, ma l’Italia non si ferma a Salerno. Sulla dorsale adriatica i Frecciarossa si fermano a Bologna e poi si prosegue con i meno veloci Fracciabianca e Frecciargento; ci sono progetti di adeguamento tecnologico della linea esistente, meno costosi della costruzione di una nuova linea dedicata alla Tav, che spesso si arenano su veti locali. Ma il grave limite di questo sistema è il mancato collegamento tra le due dorsali, sia al Sud sia al Nord. Dopo infinite polemiche si sta realizzando finalmente la Napoli-Bari, ma resta interrotta, inspiegabilmente, in più tratti anche la Torino-Trieste.

Questa rete, che annullerebbe il gap infrastrutturale del 20/30 per cento che le nostre imprese pagano rispetto ai concorrenti europei, ha ulteriormente senso proprio in ottica europea, se è cioè collegata, anche qui nelle due direzioni Nord-Sud ed Est-Ovest, ai grandi corridoi ferroviari continentali. Il tunnel del Brennero non ha mai di fatto interrotto i suoi lavori, quello della Val di Susa, dopo le assurdità a cui abbiamo dovuto assistere negli anni, li ha ripresi nel silenzio generale.

Il grande successo dell’alta velocità rischia però di saturare le attuali linee, le ore da dedicare alla manutenzione sono sempre meno e quindi occorre rapidamente ripensare a un adeguamento continuo dell’infrastruttura per non renderla già oggi inefficiente.

C’è un altro tassello da aggiungere: l’integrazione treno- aereo. Io non credo che questa avvenga – come ha scritto anche il Foglio – attraverso l’ingresso di Ferrovie nel capitale di Alitalia (a ognuno i suoi problemi o, come si dice a Milano, ofelè fa el to mesté), bensì portando l’alta velocità nei principali aeroporti internazionali italiani: Fiumicino, Malpensa e Venezia.
Tutto questo costa? Certo, ma è un investimento che crea ricchezza ed occupazione, che permette a tanti di lavorare in un’altra città senza cambiare casa. Vuol dire governare per il paese e le persone nell’ottica della loro promozione e non in quella della mera assistenza.

Un ultimo punto: la sicurezza di una infrastruttura è data da una cultura della manutenzione, soprattutto ordinaria. Non la si può contrapporre agli investimenti né fare i secondi a scapito della prima. Appena arrivato al ministero delle Infrastrutture e dei trasporti nel 2013, con il Decreto del fare, posi mano a entrambi: tre miliardi di investimenti sulle infrastrutture, 700 milioni di euro per la manutenzione della rete ferroviaria e altrettanti per ponti e viadotti della rete viaria dell’Anas.

Molti di questi soldi restano inutilizzati perché impigliati nelle maglie dell’iter delle autorizzazioni e dei ricorsi. Le prime infrastrutture da riformare sono queste: la burocrazia e il nostro cervello.

La mia riflessione su Il Foglio del 8 febbraio 2020

 

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