INTERVISTA SU AVVENIRE: Omofobia, il dibattito sia sereno, ma il pericolo di una censura esiste
«In un momento come questo di tutto c’è bisogno tranne che di alimentare un nuovo scontro guelfi-ghibellini», dice Maurizio Lupi in riferimento al “no” all’omofobia e alle proposte di istituire una nuova fattispecie anti-discriminazioni nella “legge Mancino” per l’orientamento sessuale e l’identità di genere. L’ex ministro delle Infrastrutture- deputato di Noi con l’Italia – è anche presidente dell’Intergruppo per la sussidiarietà, impegnato da sempre a ricercare in Parlamento temi di impegno condiviso, esigenza resa più impellente dalla gravità della crisi post pandemia.
Ha letto i testi in discussione? Che idea si è fatto?
Li ho letti, compreso quello del relatore Alessandro Zan, del Pd. Tuttavia il testo base non c’è ancora, e aspetterei di vederlo prima di dar vita a polemiche. Quando ci sarà si aprirà la discussione. Prima di scatenare questa battaglia pregiudiziale fra laici e cattolici, si tratterebbe un po’ tutti di tenere bene i piedi per terra.
Zan assicura però che non sarà introdotto nessun reato di opinione.
Debbo dire che non mi ha convinto. Tuttavia credo alla sua buonafede, penso che davvero non c’è, da parte sua o degli altri proponenti, l’intento di istituire un reato di opinione. Questo allora consente di aprire un dibattito sereno, senza pregiudizi, a partire da una domanda: siamo sicuri che c’è bisogno davvero di una nuova legge per affermare principi che il Papa ha tante volte sottolineato, e in cui tutti noi ci ritroviamo? E ancora: siamo sicuri che, per paradosso, non sia discriminatorio proprio il ritenere non inclusi gli omosessuali nella tutela della dignità di tutti gli esseri umani? Diciamo sempre di non voler appesantire l’ordinamento con nuove leggi e poi ne introduciamo di altre, trascurando che, come ci ricordano i giuristi, una legge è universale e astratta. Ma allora: serve davvero una nuova legge? Io personalmente penso che non serva, ma c’è tutta la possibilità di fare una riflessione serena, più approfondita.
I proponenti invece sostengono che un intervento di questo tipo è urgente e necessario.
Ma se, come sono certo, non ci sono secondi fini in queste proposte, occorre interrogarsi in profondità sui rischi che si creano nell’offrire una tutela specifica a chi è tutelato già, al pari di ogni essere umano. Entrando nel concreto: se un docente in una scuola paritaria dovesse sostenere che solo la famiglia fondata sul matrimonio fra uomo e donna è feconda – condannando la pratica dell’utero in affitto che mercifica il corpo della donna – incorrerebbe nel reato di discriminazione?
Come verrebbe sanzionata, allora, l’omofobia?
Nell’ambito del più complessivo perseguimento dei reati contro la persona, che già stando alla Costituzione non possono consentire discriminazioni di sorta in base a sesso razza, lingua o religione. Lo stesso vale per la discriminazione e la violenza verso le donne, o in base a caratteristiche fisiche. Per la stessa ragione mi desta perplessità la proposta di istituire una giornata specifica, Il 17 maggio, contro l’omofobia. Mi convince di più una proposta per, più complessiva: una giornata per la dignità della persona, contro ogni discriminazione. Il rischio altrimenti, ancora una volta, è quello di dar vita a una discriminazione all’incontrario.
Che cosa propone, allora?
Chiarite le buone intenzioni dei proponenti la politica dovrà ora interrogarsi sull’opportunità di introdurre questa nuova normativa. E, guardando anche alle esperienze degli altri Paesi i rischi che ho evidenziato sono più che concreti.
L’impressione è che di fronte agli appelli del Quirinale a fare fronte comune contro la crisi c’era chi non aspettasse altro per seminare nuove divisioni.
Proprio per questo, in considerazione del fatto che il Parlamento non ce la fa nemmeno a star dietro alla legislazione di emergenza, dobbiamo convenire che non si tratta di una priorità. Che di tutto abbiamo urgenza meno che di aggiungere discussioni divisive circa norme la cui stessa introduzione in sé potrebbe creare più danni che utilità.
Intervista di Angelo Picariello su Avvenire del 13 giugno 2020