Lettera ad Avvenire
Gentile direttore,
le chiedo ospitalità perché credo che su un tema così decisivo come quello dell’accoglienza e dell’integrazione – al quale lei sta dedicando molto spazio sul suo giornale – il dibattito pubblico non possa essere determinato da semplificazioni e schematismi che trasformano una questione complessa e delicata in uno scontro tra tifoserie: pro ius soli uguale accoglienza, contro ius soli uguale razzismo.
Ho letto attentamente la prolusione del presidente della Cei, tanto da dichiarare che aderivo in toto alle sue parole. Ne cito alcuni passaggi, quelli che hanno fatto titolare molti giornali: la Chiesa vuole lo ius soli. Noto che queste due parole non compaiono mai nel discorso del cardinale Bassetti, che, citando papa Francesco, parla al riguardo di «prudenza, intelligenza e realismo», di «grande responsabilità» che salvaguardi «i diritti di chi arriva e i diritti di chi accoglie».
Il cardinale conclude il suo ragionamento dicendo: «Penso che la costruzione di questo processo di integrazione possa passare anche attraverso il riconoscimento di una nuova cittadinanza, che favorisca la promozione della persona umana e la partecipazione alla vita pubblica di quegli uomini e donne che sono nati in Italia, che parlano la nostra lingua e assumono la nostra memoria storica, con i valori che porta con sé». Nascita, lingua, memoria storica e valori. Questo non è ius soli, questa è la proposta di uno ius culturae.
Esattamente ciò che noi abbiamo fatto inserire nella prima parte della legge, alla quale, là dove tratta di ius soli,manca ancora una cosa: l’assunzione della nostra memoria storica e dei valori che porta con sé (quelli sanciti dalla nostra Costituzione) e il riconoscimento del ruolo fondamentale della famiglia. L’acquisizione della cittadinanza non è un punto di partenza, ma un punto di arrivo. L’attore di questa appropriazione non può essere solo il bambino nato in Italia da genitori stranieri, occorre che in questo processo sia coinvolta la sua famiglia, che è responsabile della sua educazione.
È su questo che noi chiediamo di discutere, modificando l’attuale legge, rispettando l’accordo fatto in occasione del voto favorevole alla Camera dei deputati due anni fa. Ci viene detto, invece: voto di fiducia, prendere o lasciare. Allora preferisco rimandare. Io non voglio una legge purchessia che rischi di ottenere il contrario di ciò che si prefigge, l’integrazione. Voglio una buona legge. Dico quindi, con realismo: prendiamoci il tempo per discuterne. Non dobbiamo appuntarci una medaglia sul petto per mostrarla in campagna elettorale, dobbiamo risolvere nel modo migliore un problema: accogliere e integrare evitando – per citare ancora il cardinale Bassetti – il diffondersi di una «cultura della paura». Con stima
Maurizio Lupi – Coordinatore nazionale di Alternativa Popolare