“Quando si agisce cresce il coraggio, quando si rimanda cresce la paura” (Publilio Siro)
Publilio Siro era drammaturgo vissuto a Roma nel I secolo avanti Cristo.
Un periodo di crisi, segnato dalle guerre intestine e dai complotti. Il periodo della crisi della Repubblica Romana, culminato nella nascita dell’Impero. Nell’arco di cinquant’anni ci furono ben tre guerre civili. Il 15 marzo del 44 a.C. veniva assassinato Giulio Cesare.
Questo era il clima sociale, culturale e politico in cui pronunciò la frase che abbiamo scelto come titolo di questa edizione della Winter School.
L’impero che nacque da questa crisi quattro secoli più tardi entrò a sua volta in crisi dopo un lungo periodo di decadenza interna e sotto la pressione esterna dei barbari.
La rinascita non fu un nuovo progetto politico, la rinascita fu un uomo, Benedetto da Norcia, e il fenomeno da lui innescato, il monachesimo occidentale, che letteralmente fece rinascere l’Europa.
Il filosofo Alasdair MacIntyre dice che «Un punto di svolta decisivo in quella storia più antica si ebbe quando uomini e donne di buona volontà si distolsero dal compito di puntellare l’imperium romano e smisero di identificare la continuazione della civiltà e della comunità morale con la conservazione di tale imperium. Il compito che invece si prefissero fu la costruzione di nuove forme di comunità entro cui la vita morale potesse essere sostenuta, in modo che sia la civiltà sia la morale avessero la possibilità di sopravvivere all’epoca di incipiente barbarie e di oscurità». Queste “nuove forme di comunità” furono le città e i monasteri, dove gli amanuensi salvarono la cultura classica, i frati bonificarono paludi, reinsegnarono l’agricoltura ai contadini, inventarono la birra e reintrodussero forme di democrazia (i primi casi di elezione furono quelli delle badesse dei conventi femminili).
Oggi la crisi non è meno profonda. E forse neanche meno violenta. E’ vero che in Europa veniamo da settant’anni di pace (a parte le guerre dei Balcani e quanto sta succedendo in Ucraina), ma ci sono in questo momento 67 Stati e 752 milizie coinvolte in guerre in corso. Non a caso Papa Francesco parla di “terza guerra mondiale a pezzetti”.
Ma c’è una crisi più profonda, soprattutto in Occidente, una crisi di cui avvertiamo le conseguenze economiche ma che è nella sua essenza una crisi valoriale, antropologica e di capacità di convivenza. Sempre il Papa dice che “non siamo in un’epoca di cambiamenti, ma di un cambiamento d’epoca”. C’è, insomma la fine di qualcosa che ha retto la convivenza umana sinora e qualcosa di nuovo che non conosciamo ancora. Per questo c’è molta confusione.
Per spiegarlo vorrei usare il video di un uomo pubblico, anche se non proprio un pensatore.
“Occidentali’s Karma”
Francesco Gabbani, il cantante che con questa canzone ha vinto Sanremo, l’ha definito “un guazzabuglio di parole su un ritmo suadente”. Ma si sottostima. Cosciente o meno che ne sia, se leggete le parole, ci trovate in forma assolutamente pop e caotica quella che Romano Guardini ha definito “La fine dell’epoca moderna” e che papa Francesco ha riassunto nella frase ormai famosa – e che ha fatto da titolo alla Summer School di Giardini Naxos – “Non viviamo un’epoca di cambiamenti ma un cambiamento d’epoca”.
Noi la cantiamo e la balliamo, ma senza pensare alle parole del testo. E allora ripercorriamole.
Essere o dover essere, l’alternativa con cui inizia la canzone, non è il dubbio amletico (essere o non essere) ma l’alternativa tra la realtà e l’etica, tra i fatti e i valori, che da sempre ha appassionato e interrogato l’umanità, è la domanda sul senso delle cose, e che oggi viene liquidata da “selfisti anonimi” con “risposte facili”. Il dilemma viene considerato “inutile”, perché l’intelligenza (chiedersi il perché delle cose) “è demodée”, siamo tutti “tuttologi del web” il nuovo “oppio dei popoli”, per Marx lo era la religione, e in effetti è vero che questa è la nuova religione, anche se con nessun senso del mistero.
In questa situazione di confusione totale “l’evoluzione inciampa”. Non c’è più ragione di stare insieme, di lavorare insieme, di aiutarsi. E chissenefrega, “comunque vada panta rei”, tutto scorre, tutto continua anche se non sembra avere più senso, “and singing in the rain”, continuiamo a vivere cantando sotto la pioggia. Anzi, sotto la pioggia balla una scimmia nuda, un uomo che ha cancellato secoli di civiltà. Questo sembra ormai il destino (il karma) dell’Occidente.
Ma non è questo che ci interessa, ci interessa un passaggio drammatico che c’è a un certo punto: “Quando la vita si distrae cadono gli uomini”. È questo che succede nel periodo di crisi che stiamo vivendo: cadono gli uomini.
C’è oggi una paradossale inversione del valore di un simbolo: il muro. Nel Ventesimo secolo abbiamo lottato decenni per abbattere un muro, nel Ventunesimo ne stiamo costruendo di nuovi. E’ un momento di nuovi nazionalismi e isolazionismi, dall’idea di America di Trump, alla Brexit al sovranismo lepenista in Francia.
Quello a cui stiamo assistendo è un cambiamento che riguarda tutti i livelli della vita umana, dal rapporto tra padri e figli a quello tra professori e alunni, alle nostre relazioni con i migranti, alle relazioni internazionali.
Benedetto XVI ha detto che siamo alla fine di un mondo nato con l’Illuminismo, quando l’Europa uscita dalla guerre di religione cercò di fondare la convivenza su valori accettati dalla sola ragione, staccandoli dall’origine religiosa e di fede nella quale erano nati. Quel sistema ha retto per tre secoli, oggi ha mostrato la sua debolezza. Queste convinzioni non hanno resistito ai cambiamenti della storia. Papa Benedetto lo dice chiaro: «La ricerca di una rassicurante certezza, che potesse rimanere incontestata al di là di tutte le differenze, è fallita». Il tentativo di salvare i valori della vita umana (libertà uguaglianza, solidarietà, diritto…) a prescindere dalla loro origine cristiana è crollato..
La sfida che abbiamo davanti ora è trovare delle nuove basi per la convivenza.
Perché se viene meno ciò su cui si fonda la nostra società, la nostra civiltà, la nostra vita, non resta tutto uguale (panta rei), cadono gli uomini: non si crea più lavoro, non si fanno più figli, non si rischia più per qualcosa in cui si crede, non ci si impegna per costruire qualcosa da lasciare in eredità alle nuove generazioni. Ci si paralizza. È la stagnazione, non solo economica, nella quale ci dibattiamo.
Vediamo adesso un altro contributo
Papa Francesco alla Giornata mondiale della gioventù a Cracovia
“Dove ci porta, la paura? Alla chiusura. E quando la paura si rintana nella chiusura, va sempre in compagnia di sua sorella gemella, la paralisi; sentirci paralizzati (… ) Cari giovani, non siamo venuti al mondo per vegetare, per passarcela comodamente, per fare della vita un divano che ci addormenti; al contrario, siamo venuti per un’altra cosa, per lasciare un’impronta. E’ molto triste passare nella vita senza lasciare un’impronta. Ma quando scegliamo la comodità, confondendo felicità con consumare, allora il prezzo che paghiamo è molto ma molto caro: perdiamo la libertà”. (papa Francesco, GMG 2016, Cracovia)
C’è un’insicurezza che ci paralizza. Il famoso sociologo Zygmunt Bauman, recentemente scomparso, ha scritto: «Le radici dell’insicurezza sono molto profonde. Affondano nel nostro modo di vivere, sono segnate dall’indebolimento dei legami […], dallo sgretolamento delle comunità, dalla sostituzione della solidarietà umana con la competizione». Di fronte a tutto questo, dice Bauman, le barriere non servono a nulla: «Una volta che nuovi muri saranno stati eretti e più forze armate messe in campo negli aeroporti e negli spazi pubblici; una volta che a chi chiede asilo da guerre e distruzioni questa misura sarà rifiutata, e che più migranti verranno rimpatriati, diventerà evidente come tutto questo sia irrilevante per risolvere le cause reali dell’incertezza […] i demoni che ci perseguitano non evaporeranno né spariranno».
Detto in altre parole, non sono gli altri che ci creano i problemi (gli immigrati, i paesi emergenti che premono sull’economia mondiale), gli altri portano a galla e ci rendono coscienti dei problemi che già abbiamo .
E allora torniamo al titolo della Summer School – “Non viviamo un’epoca di cambiamenti ma un cambiamento d’epoca” – e a quello di questa Winter School: “Quando si agisce cresce il coraggio, quando si rimanda cresce la paura”, una frase di un drammaturgo romano del primo secolo avanti Cristo (Publilio Siro) che mi sembra sia la conseguenza “operativa” di quella del papa: il coraggio di investire nel futuro. Da dove viene questo coraggio? Dall’impegno con la realtà. Un uomo conosce se stesso solo in azione, durante l’azione, mentre è in azione. Ci vuole coraggio, e il coraggio implica il rischio, il rischio di perdere una rendita di posizione, un posto una sicurezza, o meglio, quella che si crede essere una sicurezza.
Ma non abbiamo alternative, la chiusura sull’esistente è perdente, bisogna avere il coraggio di investire in nuove relazioni, in ricerca, in tecnologia, in nuove cure, ma anche in creatività e bellezza, solidarietà e responsabilità sociale, in nuovi progetti politici.
Di questo parleremo in questa Winter School.
I relatori sono stati scelti in base alle loro esperienze e alle responsabilità pubbliche che si sono assunti in tal senso. A loro il compito di testimoniavi che l’investimento nel futuro, ognuno nel proprio campo, è decisivo per il l’avvenire di un Paese; e chi, impegnandosi in politica, vuole diventare classe dirigente deve averne piena coscienza.
La Winter School era inizialmente prevista per il mese di gennaio, poi in Abruzzo è successo quello che tutti sapete. Potevamo annullare questo appuntamento, invece abbiamo deciso solo di rinviarlo. Veniamo a Roccaraso come gesto di solidarietà verso questa regione così duramente ferita e per questo dedicheremo un momento della scuola all’incontro con alcuni sindaci a cui abbiamo chiesto fosse presente il governo nella figura del ministro Enrico Costa per un concreto confronto sul ruolo dei Comuni nella ricostruzione e sul sostegno di cui necessitano.
Maurizio Lupi